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Le energie della città, A.Baffoni

I flussi metropolitani nell’astrazione fotografica di Silvano Piccinini

di  Andrea Baffoni

 

In quest’epoca super tecnologica scopriamo che la vita è, probabilmente, più complessa di come la immaginavamo. Oggi sappiamo che “qualcosa” viaggia più veloce della luce – forse –  e qualcuno ha detto che si è aperta l’era del neutrino, particella sub-atomica prodotto della fissione nucleare, la cui vera natura potrebbe indurci a credere in un universo multidimensionale. Forse sarà anche possibile viaggiare nel tempo, ma intanto l’uomo resta piantato sulla terra, anche se, pure lui, grazie alla virtualità telematica, ha imparato a ingannare il tempo e lo spazio. Siamo sempre più veloci e caotici; più stressati e insoddisfatti; parliamo contemporaneamente a grandi distanze; ma il cellulare squilla ad ogni istante; lavoriamo anche sotto l’ombrellone e la privacy è quasi un ricordo.

Con questo prologo voglio introdurre le sensazioni ricevute davanti alle recenti opere di Silvano Piccinini, un fotografo che lavora come un pittore, il cui lavoro ben s’innesta in questo intricato vortice di flussi contemporanei. Immediato come Mathieu e violento come Hartung, il “segno” artistico di Piccinini esprime qualcosa che va oltre il metodo fotografico. Il fotografo, infatti, ha il compito di fissare momenti e immagini. La sua peculiarità è l’attimo; la sua performance dura il tempo di uno scatto. Prima di questo momento infinitesimale, il lavoro del fotografo è interamente rivolto alla scelta e preparazione del soggetto.

Silvano Piccinini, originario di Carpi, non è estraneo a questo percorso poiché nasce come fotografo tradizionale, aduso ai tipici soggetti del mestiere: ritratti, paesaggi, reportage. Viaggia molto e fissa nella pellicola ciò che vede nel mondo. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta si reca in Brasile, Argentina, Canada, India, Cina, Corea, Grecia, Turchia. Visita America, Africa, Asia e, ovviamente, l’Europa. Assimila usi, costumi e culture di altre genti, lasciando che tutto confluisca in servizi fotografici ricchi di attenzione e sensibilità. Ritratti di gente lontana, ripresa mentre è intenta nei lavori quotidiani. Piccinini coglie l’attimo intimistico di queste persone e la condizione sociale in cui si trovano.

Ha diciotto anni quando acquista la sua prima macchina fotografica, una ZORKI 4. Così, dopo anni di lavoro – non disdegnando anche servizi matrimoniali –, Piccinini si ritrova ad essere un vero reporter. Ma la passione artistica lo spinge verso qualcosa di diverso, la sperimentazione è il suo campo e l’avvento del digitale gli offre nuovi stimoli di ricerca.

Quelle sensazioni, colori, stimoli ed energie che l’artista riceveva dai soggetti ritratti attraverso l’obbiettivo della sua macchina, svaniscono adesso nell’inconsistenza dell’etere. Dei volti, dei suoni, dei colori resta solo l’eco sommesso di linee astratte; lampi di luce elettrica che solcano la superficie del quadro. La raffigurazione lascia il passo all’interpretazione e il reporter compie la metamorfosi trasformandosi in vero “artista”.

Nascono così le opere della stagione più recente, un ciclo intitolato ENERGIA, termine con il quale Piccinini intende proporre una nuova visione del mondo, non più colto attraverso l’immagine reale, ma interpretato richiamando la forza della luce. Per fare ciò egli cambia non solo il soggetto del proprio lavoro, ma anche il modo di utilizzare lo strumento con cui fin’ora ha operato. Crea dunque una nuova tecnica alla quale da un nome inedito: Clakbrush; cioè “dipingere” sfruttando l’apertura prolungata dell’otturatore, trasformando la luce in materia pittorica e la macchina fotografica in pennello.

ENERGIA è quindi una serie fotografica in cui non troviamo più la rappresentazione del mondo secondo i canoni del reale, ma attraverso un’interpretazione in chiave post-futurista della metropoli. E questo è un primo importante cambiamento. Piccinini sposta l’attenzione sul tessuto urbano, adesso si nutre di quegli stessi elementi che all’inizio del Novecento eccitavano i futuristi, portandoli ad interpretare la metropoli attraverso il ricorso alla sinestesia dinamica delle compenetrazioni audiovisive. Coadiuvato dallo strumento tecnologico, Piccinini carpisce quegli stessi elementi fondendoli nel gesto della scatto. Così arriviamo al Clakbrush: l’artista attende il calar della notte, quando la città s’illumina; e già qui troviamo il primo paradosso che coglie con questa ricerca, perché la metropoli risplende di notte. Segno della sua natura artificiale e tecnologica, se di giorno – illuminata dal sole – è grigia e spenta, di notte avvolta dalle tenebre diventa un caleidoscopio luminoso. E quelle luci sono le vite di chi ci abita o chi è solo di passaggio. Le scie luminose sono storie che si accavallano e si fondono, sono i colori delle insegne e dei fari delle automobili, sono i cellulari e i lampioni e sotto a tutto ciò ci sono le voci, i rumori, suoni di vario genere e poi gli odori e ancora tutte le sensazioni che la caleidoscopica metropoli contiene.

Così nella notte la macchina fotografica di Piccinini diviene strumento metafisico. Cattura tutto ciò e lo restituisce nell’astrazione futurista di luci elettriche che solcano la scena come fossero lampi. La sensazione è quella del frastuono e del caos, ma l’effetto è pittorico: altro paradosso. Ecco la capacità dell’artista che è quella di non cedere mai al caso.

Piccinini realizza molti scatti, ma solo pochi diventano opere finite. Solo quelle in cui l’artista ritrova il giusto equilibrio tra ciò che esprime e il modo in cui viene reso: l’equilibrio dei colori e la forma delle linee. Verticalità e orizzontalità. Perché dietro quest’astrazione resta pur sempre il riferimento all’individuo e al suo contesto, così le energie si umanizzano e quelle linee apparentemente senza senso tornano ad essere espressione di volti e persone. Vite e attitudini, usi e costumi. Piccinini è dunque ancora un reporter, ma adesso il soggetto è nascosto dalla sua stessa essenza.

Ci si aspetta così di vedere cosa accadrà nei suoi prossimi viaggi. Chissà che effetto fa la notte quando cala in città come Pechino, Tokyo, Bombay; o a Messina piuttosto che a Torino. Il critico d’arte Franco Bulfarini, in un recente scritto sull’artista, sottolinea come Piccinini, incarnando il ruolo di traduttore interprete delle vibrazioni e perturbazioni luminose, sveli “il fremere incessante della vita, riletta nei nuovi percorsi tecnologici, dedotta da quello che potremmo definire un pulviscolo esistenziale, che ne è l’essenza”. Per questo viene da pensare che questo viaggio sia solo all’inizio. Forse l’artista saprà tradurre nuovi aspetti della vita contemporanea. Altre “foto-pitture” e altre storie nascoste tra i lampi di energia metropolitana che tutti le notti ci attraversano e delle quali il più delle volte nemmeno ci accorgiamo.